La fuga silenziosa dalla sanità pubblica: numeri, cause del fenomeno, possibili soluzioni

Il 90% dei professionisti sanitari interpellati prova malessere nello svolgere il proprio lavoro: carichi eccessivi, scarso riconoscimento dell’attività svolta e delle fatiche del compito di cura, retribuzione non adeguata, tempo sottratto alla famiglia e alla vita privata, troppi compiti di tipo burocratico sono le principali cause del disagio espresso.

Lo dicono i risultati di una ricerca, “Supporto agli operatori sanitari”, un questionario cui hanno risposto 2558 medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi e altre figure professionali della sanità piemontese, predisposto dal Gruppo di lavoro inter-ordini sul benessere degli operatori sanitari. Il documento è stato diffuso questa mattina nel corso dell’incontro “La fuga silenziosa della sanità pubblica – Le cause e i possibili correttivi”, all’Ordine dei Medici di Torino.

Al centro dell’evento, in occasione della presentazione del libro “Le grandi dimissioni” della sociologa e docente Francesca Coin, l’abbandono del servizio pubblico da parte di medici e professionisti della sanità, l’esame di cause e numeri del fenomeno, gli aspetti sociologici, gli effetti sul sistema sanitario, gli interventi da mettere in atto per arginare il problema. Se ne è discusso, oltre che con la stessa autrice del libro, con la segretaria regionale Anaao Assomed Chiara Rivetti e con lo psichiatra e psicoanalista Mario Perini, coordinatore gruppo inter-ordini sul benessere degli operatori sanitari, moderati dal vicepresidente dell’Ordine dei Medici di Torino e già Consigliere nazionale Cimo Fesmed Guido Regis.

I dati raccolti in questi anni, illustrati dalla dottoressa Rivetti, rilevano come in Piemonte dal 2015 al 2022 il numero dei medici ospedalieri che scelgono di licenziarsi per cambiare lavoro sia cresciuto di oltre 4 volte, passando da 79 a 332 e rappresenti il 4% di tutti i medici ospedalieri della Regione. La quasi totalità dei medici dimissionari (292 su 332, l’88%) ha scelto la libera professione con partita Iva, il lavoro in ambulatori convenzionati o negli ospedali privati, mentre i restanti hanno optato per la medicina convenzionata, diventando specialisti ambulatoriali, medici di famiglia, pediatri di libera scelta. La maggioranza di chi abbandona è donna, le specialità che registrano il maggior volume di dimissioni sono Anestesia e Rianimazione, Psichiatria, Medicina e Chirurgia d’Accettazione e Urgenza.

Cerca di analizzare cause ed effetti del problema l’indagine svolta dal gruppo inter-ordini, l’organismo costituito nel 2022 tra gli Ordini delle professioni sanitarie e sociali, con il compito di studiare il disagio degli operatori e proporre soluzioni sia sul versante del supporto psicologico personale sia in termini di riorganizzazione complessiva dell’attività. La ricerca presentata dal dottor Perini, curata dalle psicologhe Daniela Converso e Lara Colombo con il supporto del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, fa emergere alcuni aspetti significativi.

Ad esempio, che la retribuzione non adeguata rappresenta sì uno dei maggiori problemi (in particolare per infermieri, educatori, psicologi, ostetriche) ma nel complesso non è il principale, soprattutto per i medici. A provocare malessere e disagio sono in primo luogo il carico di lavoro eccessivo e la sensazione che il proprio ruolo e la propria attività non siano riconosciuti dal sistema in cui operano. Fra i commenti al questionario da parte dei professionisti sanitari vengono segnalati come fonte di insoddisfazione il taglio delle risorse, la burocrazia, l’organizzazione inadeguata, l’inadeguatezza degli spazi di lavoro.

Le conseguenze di questa situazione sono stress e patologie correlate, tensioni e conflitti con colleghi e, con una certa frequenza, ansia, depressione e distacco, sfiducia verso qualunque iniziativa, demotivazione che spinge ad allontanarsi dal lavoro, a guardare con curiosità il privato da parte di chi opera nella sanità pubblica.

Tutto questo si traduce nel bisogno di supporto nello svolgimento della professione, che però appena il 23% di chi ha risposto dichiara di aver ricevuto o di aver individuato autonomamente. In particolare, si ritiene possa essere utile “la dimostrazione che la mia organizzazione di lavoro si preoccupa del mio benessere”, “l’identificazione di modalità operative che riducono lo stress”, “l’opportunità di discutere di pazienti o situazioni che trovo difficili”.

 

18 maggio 2024

 

Il comunicato in pdf