In assenza di accordo scritto disciplinante il rapporto di consulenza è difficile un qualunque pronunciamento. La sola modalità di fatturazione della prestazione è infatti priva di significato nella valutazione dell’attribuzione del cliente, specie quando lo stesso si sia rivolto ad una specifica struttura e poi sia stato assegnato ad un professionista operante presso la stessa. Invervo la “cessione della clientela”, questa la fattispecie da Lei indicata, un tempo vietata, è oggi consentita dall’ordinamento come negozio giuridico di cui il riconoscimento corrispettivo costituisce prova. Per poter affermare che i pazienti da Lei curati Le siano stati ceduti occorrebbe qualche maggiore elemento di prova che non la semplice fatturazione diretta delle prestazioni con riconoscimento di una quota percentuale al titolare della struttura.

Sono un medico dentista ortodonzista con un rapporto di consulenza per trattamenti di ortodonzia con un collega proprietario dello Studio, ricevendo dal collega una percentuale sul fatturato emesso per i trattamenti ortodontici. Dopo alcuni anni il collega mi chiese la trasformazione della consulenza in un “contratto per concessione in uso di parti del proprio studio ad altro professionista per uso diverso dell’abilitativo” (contratto di co-Working) di durata annuale, automaticamente prorogabile: fatturo io al paziente ortodontico, pago i materiali ed il laboratorio e lascio un corrispettivo mensile in percentuale sul fatturato al collega. l’inattività forzata da emergenza coronavirus e la sopraggiunta età pensionabile (anno di nascita 1952) mi hanno portata a valutare di non riprendere più le consulenze di ortodonzia alla ripresa dell’attività lavorativa in fase due post emergenza. Ho provveduto quindi ha cercare un sostituto per seguire i casi in cura nello studio del collega fino a dicembre 2020, data di scadenza del contratto di co-Working che intendo non più rinnovare. Il collega ha accettato la mia proposta. Per poter illustrare al mio sostituto con maggior precisione i casi in cura e valutare quelli non iniziati ma con piano terapeutico già tracciato, ho richiesto al collega “concedente” le cartelle cliniche e le impronte: il collega ha rifiutato di darmi le impronte e mi ha fattro le fotocopie delle cartelle sostenendo che, “essendo pazienti suoi”, devono restare nello studio, dove posso recarmi a consultare. Inoltre ha avvertito, di propria iniziativa, i pazienti dei cai non inizati che tutti i trattamenti nuovi erano stati rimandati a gennaio. Secondo il mio parere, non essendo io più consulente ma direttamente la responsabile dei pazienti, spetta a me decidere di poter prelevare e consultare le cartelle e le impronte dei pazienti e dovrò conservare ancora io il materiale clinico in archivio per il periodo indicato dalla legge. In questo tipo di contratto lavorativo chi è il responsabile e deve detenere legalmente le cartelle? Vorrei richiedere il parere del legale OMCEO di Torino avvocato Loghin non avendo ancora trovato una risposta certa a questo quesito.