Commissione sul Disagio Lavorativo del Medico – Lettera aperta

Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Torino

COMMISSIONE SUL DISAGIO LAVORATIVO DEL MEDICO

Lettera aperta al Presidente dr. Guido Giustetto.

Caro Presidente,

ti scriviamo come Commissione ordinistica che ha il mandato di occuparsi del disagio professionale dei medici e delle sue inevitabili ricadute sulla qualità delle cure e sul benessere dei cittadini; ti scriviamo anche in quanto esponente della medicina del territorio e delle cure primarie, aree che sono risultate nel corso di questa pandemia – al pari di certe zone ospedaliere – dei veri “focolai del disagio” col rischio di generare non solo criticità, errori e trascuratezze, ma anche e soprattutto diffusi processi di disinvestimento, malessere e fatica nei sanitari, processi ormai molto prossimi a configurare un’epidemia di burnout.

Abbiamo cercato di identificare le radici principali di questo disagio e le esponiamo qui sinteticamente.

  1. La scarsità delle risorse umane, strutturali e tecnologiche

Il problema della scarsità delle risorse umane, tecnologiche e strutturali, è presente ormai da una decina di anni, quando la spending review e, in particolare per la nostra Regione, il piano di rientro durato fino al 2017, hanno determinato un progressivo depotenziamento dell’assistenza sanitaria, che in tempi di pandemia ha evidenziato la sua vulnerabilità e ha comportato – anche e soprattutto per la carenza di protezioni adeguate per tutti gli operatori della salute – diffusi sentimenti di insicurezza, di sovraffaticamento e di abbandono, che rappresentano un terreno fertile per gli errori, i rischi clinici e i conflitti.

  1. Le criticità della comunicazione

Durante tutto il corso della gestione “tecnica” e informativa della pandemia si sono rese evidenti alcune criticità comunicative (ed “emotivo-relazionali”) proprie dei medici interpellati dai media o dalla collettività, sia da parte dei singoli sanitari (come nelle interviste o nei commenti di questo o quel virologo o epidemiologo) sia da parte dei gruppi (tipicamente il CTS e le varie task force) e delle pubbliche autorità. Dichiarazioni di taglio profetico, a volte ambigue e superficiali altre volte dogmatiche o semplicemente arroganti, eccessivamente allarmistiche o sbrigativamente rassicuranti, invece di riconoscere le oggettive condizioni di incertezza e imprevedibilità in cui si è costretti a operare insieme con gli sforzi per superarle, hanno tradito il protagonismo e la vulnerabilità narcisistica di alcuni personaggi, ai quali l’improvvisa e inconsueta visibilità mediatica ha preso chiaramente la mano, alterandone la capacità di riflettere e di comunicare con competenza e saggezza di fronte ad ansie ed attese comprensibili ma spesso irrealistiche della comunità.

Queste criticità sono ampiamente ricadute sui sanitari della prima linea, che hanno dovuto comunicare come meglio potevano con un’utenza spaventata che dal medico si aspetta certezze ed esige la “salvezza”. Per aiutare pazienti e cittadini a rinunciare a queste illusioni mantenendo una realistica fiducia nelle nostre capacità occorre che ci liberiamo in primo luogo della nostra illusoria onnipotenza e che impariamo ad ascoltare per poter poi dire le cose che dobbiamo dire ed essere credibili e ascoltati.

  1. Le angosce e le fatiche del compito di cura

Le reazioni psicologiche sperimentate dai sanitari a contatto con i malati di Covid19 includono prima di tutte l’angoscia che scatta quando siamo impotenti e senza armi, e poi, oltre alla fatica fisica, un sovraccarico emozionale che si costituisce

  • Per la paura di essere contagiati
  • Per la solitudine dovuta al distanziamento sociale, alla quarantena e all’autoisolamento
  • Per il disorientamento di chi va a lavorare in un reparto non suo.
  • Per l’assenza di sostegno familiare dovuto alla paura del contagio
  • Per lo scarso contatto con i colleghi dovuto alla difficoltà di lavorare in gruppo… e al ponderoso carico lavorativo.

Le conseguenze di queste angosce e del sovraccarico emozionale ricadono non solo, come si è già detto, sulla qualità delle cure ma anche sulla salute dei medici, che risulta minata in misura crescente dall’ansia, dalla depressione e dalle varie manifestazioni psico-somatiche del disturbo post traumatico da stress, esito inevitabile di traumi ripetuti che non è stato possibile elaborare.

In effetti ciò che rende la situazione ancora più critica è la tendenza della cultura sanitaria contemporanea a sottovalutare le conseguenze emotive degli eventi e il potere terapeutico della parola, privando così i medici e in generale gli operatori sanitari di quegli spazi di condivisione dell’esperienza e di supporto psicologico di cui avrebbero bisogno per affrontare questi gravosi costi emotivi in condizioni ragionevolmente protettive.

  1. Le difficoltà dei medici a chiedere aiuto e a lasciarsi aiutare

È un fatto risaputo che i medici faticano a chiedere aiuto e quando viene loro offerto tendono a rifiutarlo. Le ragioni di questa difficoltà, che sono state oggetto di un recente Convegno organizzato dal nostro Ordine (“Il medico nella malattia”, Torino, 14 dicembre 2019), sono varie e vanno dai vissuti di onnipotenza ai sentimenti di vergogna e di colpa associati alla necessità di riconoscere una condizione di sofferenza o di vulnerabilità, e di rivestire il ruolo di paziente, passando “dall’altra parte”. Nel caso della pandemia Covid19 anche il carico lavorativo e il peso dei pregiudizi possono lasciare scarso spazio alla formulazione di una richiesta d’aiuto: quando sei stremato hai solo voglia di tornare a casa a dormire e non hai la testa per telefonare a uno Sportello di supporto o per accogliere la proposta di partecipare a un Gruppo Balint.

Il risultato è che quando alla fine i medici accedono a qualche tipo di supporto di solito è tardi, sono ormai “bruciati” dallo stress e dal burnout. Questa evidenza dovrebbe farci riconoscere l’urgenza di predisporre adeguati servizi di aiuto psicologico anche e soprattutto quando la “fatica della cura” è ancora tollerabile, e di facilitarne l’accesso da parte dei sanitari soprattutto aiutandoli a non sentirsi deboli o inadeguati e a non vergognarsene.

  1. La difficoltà a lavorare in gruppo

Un’altra criticità rivelata da questa pandemia è la manifesta difficoltà dei medici a lavorare in gruppo, collaborando tra loro e con le altre professioni sia all’interno di specifici team tecnici negli ospedali o nelle équipe di medicina generale, sia nei rapporti interpersonali tra colleghi, i quali, avendo com’è naturale idee diverse su un fenomeno ancora poco conosciuto e poco prevedibile, invece di confrontarsi sulla base dei dati e dell’esperienza hanno talvolta preferito nella migliore delle ipotesi ignorarsi, spesso competere, attaccarsi, sfidarsi e denigrarsi a vicenda. Queste difficoltà, di cui siamo ancora troppo poco consapevoli, concorrono ad offrire al pubblico un’immagine di sostanziale inaffidabilità dei medici e della medicina, che se da un lato stenta a farsi ascoltare e a guidare i comportamenti collettivi, dall’altro è sempre più spesso sotto attacco da parte delle fake news, dei vari negazionismi no-Vax o no-Mask e delle recenti teorie complottistiche su Big Pharma o sulla “dittatura sanitaria”. Ma ne patiscono anche i singoli sanitari, vivendo il proprio lavoro come una pratica sempre più isolata, priva della potenziale solidarietà di squadra, esposta alle oscillazioni di un’immagine pubblica che da un giorno all’altro li può trasformare da eroi applauditi dai balconi a capri espiatori da accoltellare o da denunciare.

Chiudiamo questa lettera, che non pretende di offrire sofisticate analisi sociologiche sul fenomeno pandemia e sui difetti dell’organizzazione sanitaria, ma si propone solo di segnalare a te e al Direttivo alcune ipotesi relative al disagio e al rischio che per effetto di tale fenomeno e di tali difetti incombono sul benessere dei medici e sulla qualità delle loro prestazioni di cura, provando anche a indicare alcune possibili risorse per contenere (o magari prevenire) tanto il disagio quanto il rischio.

Tra queste risorse – che possono essere da costruire o se presenti da utilizzare meglio – vogliamo menzionarne alcune che ci sembrano più urgenti:

  1. La disponibilità, immediata e a totale finanziamento pubblico, di Centri o Servizi di aiuto psicologico per gli operatori sanitari presso le ASL, gestiti preferibilmente da agenzie diverse dall’Azienda interessata, anche se soggetti al controllo da parte del SSN e dei suoi Servizi di Psicologia.
  2. La raccomandazione di istituire presso tutti i contesti sanitari (ospedali, medicina del territorio, strutture residenziali) regolari gruppi di supporto e di “manutenzione” del ruolo curante, che utilizzino il metodo del Gruppi Balint o altre metodologie convalidate.
  3. La creazione di corsi di formazione, anche in contesti extra-Universitari, sul lavoro di gruppo in ambito sanitario, sulla collaborazione inter-professionale, sul ruolo dello stress, delle emozioni e delle competenze relazionali nello svolgimento del compito di cura.
  4. Il varo di un “Progetto di analisi delle dinamiche professionali e relazionali all’interno delle équipe della Medicina Generale” basato sul metodo dell’osservazione istituzionale e della consulenza di gruppo.

La nostra Commissione, nei limiti delle possibilità e delle competenze dei suoi membri, si rende fin d’ora disponibile a collaborare per la realizzazione dei suddetti obiettivi, anche collegandosi con il lavoro di altre Commissioni ordinistiche.

Cordialmente

Per la Commissione sul disagio lavorativo del medico
Il Coordinatore
Mario Perini

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