LA RILEVANZA DEONTOLOGICA DELLA VITA PRIVATA DEL PROFESSIONISTA

La rilevanza deontologica delle condotte che non riguardano l’esercizio della professione è un tema che si ripropone periodicamente ogni qualvolta pervengono agli organi di disciplina segnalazioni relative a comportamenti della vita privata degli iscritti all’albo medici e all’albo odontoiatri. Puntualmente riemerge l’interrogativo se il giudice disciplinare sia competente a conoscere anche del comportamento del professionista in ogni aspetto della sua vita di relazione, ancorché per fatti non attinenti alla sua attività professionale.

L’opportunità di provare a fornire risposta scaturisce da un caso che potremmo dire di scuola. Un professionista, tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento della moglie, si è sottratto volontariamente all’obbligo. Denunciato penalmente è stato condannato. La sentenza è stata trasmessa all’Ordine dalla moglie, accompagnata dalla richiesta di sua punizione disciplinare che ha motivato richiamando l’art. 1 del Codice di deontologia medica. La norma nel definire l’ambito di operatività del codice, dispone che esso regola anche i comportamenti assunti al di fuori dall’esercizio professionale quando ritenuti rilevanti e incidenti sul decoro della professione. Non è facile dire se il caso segnalato vi rientri.

L’analisi della disposizione consente infatti di cogliere come la vita privata del medico o dell’odontoiatra possa essere rilevante ai fini disciplinari solo in alcune ipotesi che hanno il loro perimetro sul difficile parametro del “decoro professionale”. Il decoro dell’esercizio professionale è la dimensione esterna del professionista, il modo in cui si manifesta agli altri, un’immagine con cui si mostra attraverso il camice che riconduce l’osservatore alla categoria. È dunque di intuitiva percezione che la condotta privata del medico è suscettibile di ledere il decoro della professione solo quando i fatti si prestino, nella estimazione del pubblico, a estensioni generalizzate a carico di tutta la categoria.

Lo ha precisato in modo inequivoco la Corte di Cassazione (sent. 23020/2011) secondo la quale il Giudice disciplinare non può penetrare nell’intimità della vita domestica del professionista, a meno che i fatti si riverberino al suo esterno divenendo di dominio pubblico e riflettendosi negativamente sulla professione ne compromettano l’immagine e la credibilità dell’intera categoria.

Insomma, lo stesso fatto, in astratto riprovevole secondo la comune coscienza, diviene deontologicamente rilevante solo quando esca dalla vita privata, assumendo una rilevanza esterna che si riflette sull’immagine della categoria. È questo un sentire comune a tutte le professioni intellettuali.

All’interrogativo di partenza si può quindi dare la seguente risposta: anche fuori dall’esercizio professionale il medico e l’odontoiatra sono tenuti a mantenere un comportamento corretto e consono ad un’etica non scritta, di buon senso comune, la cui trasgressione assumerà rilievo sul più circoscritto piano deontologico solo se, divenuta di dominio pubblico, finisca per ledere il decoro della professione.

Avv. Chiara Longhin

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