Malattie croniche: un’emergenza di salute pubblica

Lo scorso 2 ottobre l’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Torino ha organizzato un convegno dedicato al tema della cronicità “L’assistenza sanitaria per i malati cronici in Piemonte: come raggiungere gli standard dei Paesi avanzati?”.

Molti gli interventi della giornata che si sono concentrati sui diversi aspetti della cronicità: il diritto all’assistenza, l’organizzazione dei sistemi di cura, la cultura medica e i paradigmi di formazione, lo scenario regionale.

Successi nella assistenza ai malati cronici ne abbiamo avuti – afferma il Presidente OMCeO Torino, Guido Giustetto –, ma anche ritardi e carenze. Tra i successi rientra sicuramente la gestione integrata del diabete che coinvolge un’alta percentuale di pazienti e di medici. Il fatto di richiamare con regolarità i pazienti, di comune accordo tra medico generale e centro antidiabetico, per effettuare i controlli e monitorare i risultati della terapia, ha ridotto le complicanze e gli accessi in ospedale. Non si è colta l’occasione di allargare questa esperienza ad altre patologie come lo scompenso cardiaco o la broncopneumopatia cronica. Così come non si riesce a risolvere il problema dell’assistenza, sia residenziale che domiciliare, per gli anziani cronici non autosufficienti.

Per molto tempo la medicina si è occupata principalmente delle malattie acute, rappresentate in particolare dalle malattie infettive – ha ricordato il prof. Gavino Maciocco, docente di Sanità Pubblica all’Università di Firenze.  Ma oggi lo scenario è cambiato e le malattie croniche (malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, diabete, alcune malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o il Parkinson) hanno assunto un peso enorme sulla popolazione e sul SSN: l’80% delle risorse del nostro sistema sanitario sono impegnate per l’assistenza a persone con malattie croniche. Oggi è il principale problema di salute pubblica. È necessario un intero cambiamento di paradigma – ha spiegato Maciocco. Non si tratta solo della gestione delle malattie croniche, ma di ridiscutere l’intero sistema, soprattutto della formazione degli operatori sanitari, un sistema che continua a essere tarato e attrezzato per situazioni acute e non per situazioni croniche. Il medico di famiglia non può affrontare queste situazioni da solo, ci devono essere professionisti appositamente formati per il supporto al malato cronico e, soprattutto, gli specialisti dovrebbero lavorare in team per poter gestire al meglio pazienti con più patologie, valutando le priorità nelle situazioni più complicate.
È necessario un cambiamento di cultura 
– ha concluso Maciocco. Non sono richieste spese particolarmente elevate: le uniche cose che servono sono l’organizzazione, la scelta politica e la formazione del personale. Ma l’Università non sembra far nulla per diffondere nuovi modelli di intervento, che peraltro all’Estero sono collaudati da molti anni.

Finalmente dopo anni si torna a parlare di gestione della cronicità a livello nazionale – ha affermato la prof.ssa Dirindin, Università di Torino, Scuola di Management ed Economia. Ma abbiamo davvero bisogno dell’ennesima enunciazione di principi? Con molta umiltà ma con fermezza mi chiedo: non dobbiamo passare dall’enunciazione dei principi a migliorare le pratiche? La mia più grande preoccupazione è che ci si accontenti di continuare a enunciare ciò che è assolutamente condivisibile, ma che in realtà, nella pratica, non si riesca ad agire per migliorare l’offerta di servizi. Ho l’impressione che molti aspetti potrebbero essere migliorati senza un grande investimento di tempo e di risorse. Anche per quanto riguarda la situazione piemontese deliberare le Linee di indirizzo per recepire il Piano Nazionale Cronicità – ha dichiarato la prof.ssa Dirindin – non bastasarebbe utile che la Regione si focalizzasse sulle situazioni all’avanguardia già presenti sul nostro territorio per farle diventare un esempio per quelle province che hanno invece bisogno di essere aiutate a superare le criticità. Dobbiamo dare un riscontro ai cittadini che stanno perdendo la speranza di trovare nella sanità pubblica un’adeguata risposta. Questo è l’obiettivo fondamentale che non può essere sacrificato in nome di impegnative metodologie di lungo periodo.