Un tema attuale quella della circoncisione rituale e che in questi giorni occupa le pagine della cronaca con l’episodio del bimbo morto per l’infezione provocata da una circoncisione «casalinga». L’uomo che ha effettuato l’intervento è ricercato con l’accusa di esercizio abusivo della professione medica con l’aggravante della morte della parte lesa. Stessa accusa per i genitori.
L’Ordine dei Medici di Torino vuole ribadire un suo intervento, già del 2006, sulla “liceità di sottoporre a circoncisione radicale chirurgica pazienti per soli motivi religiosi e di costume senza indicazione clinica”. Secondo il Comitato Nazionale per la bioetica (nel parere espresso il 25.09.1998) la circoncisione rituale maschile trova garanzie costituzionali nell’art. 19 della Costituzione sulla libertà di culto.
Sul profilo deontologico si specifica invece che un atto che comporta comunque una menomazione, seppur lieve, dell’integrità corporea del minore (la cui volontà è totalmente assorbita da quella dei genitori che esercitano su di lui la patria potestà) suscita interrogativi specie sul principio di beneficialità che presiede qualsiasi intervento medico chirurgico.
La circoncisione, anche quella rituale, non può prescindere da una attenta valutazione delle condizioni del soggetto da circoncidere e non può essere disgiunta dalla necessità di continuità assistenziale da garantire dopo l’intervento.
L’esigenza della tutela della salute, diritto primario garantito dall’ordinamento costituzionale, impone che questa pratica sia eseguita da un medico che dovrà valutare le condizioni del soggetto e la corretta esecuzione dell’intervento, nel rispetto dei principi etici, deontologici e di buona pratica clinica. Tra questi principi rientra la libertà di coscienza che non può essere sacrificata alla coscienza religiosa, quando i valori in campo sono di uguale rilievo, e in uno Stato che ha accolto il principio della laicità.